Al verso, sulla prima tela, timbro di provenienza non identificato (P-P sormontato da croce, “N.1, C 60”); frammento di carta stampata con parole in lingua spagnola poco leggibili: “Libro… Carta… Primero”.
Davanti a un cielo azzurro e privo di nuvole, che mostra un lineare orizzonte marino, tre bambini nudi, sensibilmente descritti nel variare degli incarnati rosei e nelle differenti espressioni, sono raggruppati sopra a un basamento che vuole sembrare lapideo, quasi fosse il frammento di una scultura antica che galleggia sulle acque.
Con loro vi è un tritone, un grosso pesce dal muso largo, dalle fauci aperte e dalla coda che si attorciglia tra le gambe dei putti. L’improbabile scena è resa ancora più enigmatica dai gesti dei bimbi che rimandano agli esiti di una battaglia, più che all’atto di un gioco sulle onde. L’unico bimbo in piedi sta infatti sollevando a forza un suo compagno che appare privo di sensi, mentre il terzo infante, seppur impenetrabile nel sentimento, tiene il braccio alzato, quasi dovesse sferrare un pugno al pesce.
Anche se al momento le ricerche su di un modello scultoreo antico non hanno avuto fortuna, c’è comunque da attendersi che nel vasto repertorio di gruppi scultorei, greci e romani, si possa ancora ritrovare la probabile ispirazione di questo dipinto, che intende tradurre, in racconto cromatico, quel che in origine doveva forse presentarsi in basso rilievo o in un remoto fregio parietale. Basti pensare alle fontane che la Roma barocca ha desunto da quell’arcaico tema mitologico che declina, in infinite varianti, i giochi d’acqua tra putti e tritoni, tra nereidi, sirene e ninfe marine. Eppure l’anomalia di questo dipinto non si ferma al genere decorativo restituito in forma vivida, ma è nella paternità creativa che si annida la sua singolare essenza.
Transitata sul mercato antiquario nell’anonimato la tela va invece ricondotta al raffinato pennello di Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato e ritengo sia la rara testimonianza di una sua fase formativa. La biografia dell’artista marchigiano riporta un alunnato giovanile entro la bottega romana del Domenichino (Bologna 1581- Napoli 1641). La dichiarata vocazione classicista, che comprensibilmente muove da quella matrice culturale bolognese, manca tuttavia di anelli che colleghino lo stile del maestro con la produzione matura del Salvi.
Questo documento pittorico è a mio avviso l’attesa dimostrazione della lezione classicista che mancava all’appello. L’opera si colloca infatti a metà strada tra l’eclettismo classicheggiante che viene da Annibale Carracci e il marcato purismo che conosciamo del Sassoferrato. La tornitura delle carni, il contenimento espressivo e la gamma cromatica asciutta e determinata, sono le prove più esplicite della sua autografia.
Forse un’altra sola opera nota dell’artista ha tali proprietà da testimoniarne la prima maturità. Un Amorino che si appoggia a una chitarra davanti a un paesaggio (fig. 1), seppur inedito, è già stato studiato dal compianto François Macé de Lepinay in una lettera consegnata all’attuale proprietà. Anche in questo caso le forme fisiche dell’Eros, l’espressione e anche lo scorcio di paese, rimandano a Domenichino e alla sua vocazione classica. Appare significativo anche constatare l’identità di misure che le due opere presentano.
Sul finire degli anni Venti del XVII secolo, alla vigilia del soggiorno napoletano del Domenichino, si potrebbero collocare questi due incunaboli del Salvi, vale a dire nella stagione in cui il giovane artista stava percorrendo un sentiero di conoscenza che lo avrebbe portato alla coerente maturità che lo distingue.
Manca ancora uno studio monografico che permetta di tracciare la salita giovanile e la discesa senile da quell’altopiano professionale che le sue ‘Madonne’ attestano. Ma se la continuità della bottega rende arduo comprendere come Giovanni Battista Salvi dipingesse negli anni Ottanta, grazie a queste opere possiamo farci un’idea del livello di pensiero e di forma che il pittore aveva messo insieme nel periodo formativo e da quello che soprattutto ci attendiamo futuri sviluppi della ricerca.