Satiro
Giovanni Bonazza
(Venezia 1654 – Padova 1736)
- Legno intagliato e dipinto
- Altezza: 29 cm (11.41 inches)
Il piccolo busto, che ha mantenuto la policromia originale ed è in ottimo stato di conservazione, rappresenta una figura grottesca i cui tratti distintivi (le orecchie ferine, il naso arricciato, il manto caprino) sono da associare alla rappresentazione di satiri, capri e sileni, cioè di quelle creature mitiche associate al mito di Bacco che, nell’epoca in cui l’opera è stata intagliata, hanno attributi iconografici che facilmente si confondono.
In realtà, non si tratta di un busto autonomo vero e proprio ma piuttosto di una parte di una composizione più vasta: il taglio piatto del retro, infatti, non sembra frutto di un intervento successivo ma sembra originale, suggerendo che la figura, che identificheremo d’ora in avanti come Satiro, fosse agganciata a una struttura verticale dalla quale aggettava. Torneremo più oltre sulla sua possibile collocazione ma, in primo luogo, conviene vedere come il contesto più appropriato entro cui collocarla sia quello Veneto a cavallo tra Sei e Settecento e come, in particolare, il punto di riferimento stilistico più calzante sia quello rappresentato delle opere di Giovanni Bonazza.
A fronte di una sterminata produzione in marmo tra le più prolifiche e originali sparse per i territori della Serenissima e poi a Padova e nei suoi dintorni dove Giovanni Bonazza nel 1696 aveva trasferito la bottega, non sono molte le sue opere lignee documentate: tuttavia, quelle finora rintracciate punteggiano tutto l’arco della sua carriera artistica e certamente costituivano un settore importante dell’attività della bottega, tanto che anche il figlio Antonio (1698-1763), il più dotato tra i suoi collaboratori che avrà a sua volta una lunga e fortunata carriera autonoma, si cimenterà in questo materiale dando prova di doti non comuni nella spettacolare Sant’Anna di Carrara San Giorgio del 1758, opera il cui fascino è dovuto anche al fatto che, come il Satiro, ha conservato la policromia originale1.
Il catalogo delle sculture lignee documentate di Giovanni è presto fatto: le perdute statue destinate all’organo della chiesa del Redentore di Verona realizzate nel 1684-1685, il Crocifisso processionale pagato nel 1715 e scolpito per la Confraternita di Sant’Antonio che oggi si trova nell’Oratorio della Scoletta della basilica del Santo di Padova, gli intagli e le statue di Virtù per i quattro organi della stessa basilica padovana consegnate tra il 1717 e il 1719 ma solo in parte sopravvissute e oggi ricollocate sull’organo del duomo di San Martino a Piove di Sacco, il piccolo Crocifisso in legno di bosso firmato e datato 1718 passato di recente sul mercato antiquario, la Madonna con il bambino del duomo di Montagnana del 1733, il grande Crocifisso della chiesa di Santa Lucia a Padova firmato e anch’esso datato 17332.
Si deve pur dire che la destinazione di tutti gli intagli finora noti non facilita il confronto con l’accento grottesco del Satiro qui in esame ma, ad osservare attentamente la Prudenza oggi a Piove di Sacco e la sua aria annoiata nonostante il vivace draghetto che le serpeggia tra le mani, si deve riconoscere che anche nei legni sacri Bonazza poteva mettere in campo la vena icastica e allo stesso tempo irriverente e divertita che è caratteristica dei suoi ritratti in marmo: sia quelli ufficiali, come il bonario papa Alessandro VIII Ottoboni nel monumento del duomo di Treviso del 1690-1695, oppure la rugosissima Elisabetta Querini nel Monumento Valier ai Santi Giovanni e Paolo (1702-1708), sia delle sue teste di carattere. A quest’ultima tipologia di opere, tutte un tempo tradizionalmente attribuite a Orazio Marinali ma introdotta in laguna dal fiammingo Giusto Le Court, si applicavano diversi scultori veneti3. Tra questi, gli studi moderni hanno riconosciuto un ruolo di primo piano alla bottega di Bonazza alla quale già le fonti ottocentesche riferivano il ciclo di ottantaquattro pezzi oggi conservato al Museo Civico di Padova: una serie di rilievi che ritraggono per lo più uomini illustri tra i quali spiccano per qualità di invenzione e sottigliezza di esecuzione i due ovali con i re barbari Ezzelino da Romano e Attila (figs. 1-2)4.
Proprio il confronto tra il Satiro e il profilo di Ezzelino, dove è simile l’arricciamento di naso e sopracciglia che insieme formano un unico grumo di pieghe, costituisce un prima suggestiva indicazione sul possibile autore del primo. L’ipotesi si rafforza osservando le orecchie della scultura lignea. Generalmente, infatti, nelle rappresentazioni di satiri e creature dei boschi le orecchie sono sì appuntite a indicarne la natura ferina, ma non così sovradimensionate come nel nostro caso: l’inedita invenzione di queste orecchie lunghissime e sinuose, che si direbbero asinine piuttosto che equine, appare quindi non tanto come una scelta di fedeltà iconografica quanto piuttosto come una scelta stilistica ed espressiva del suo autore.
Non è quindi irrilevante ritrovare lo stesso particolare in due rilievi marmorei di Giovanni Bonazza. Il primo, che rappresenta una figura maschile con delle piccole corna che spuntano ai lati della fronte, fa parte di una serie di sei profili grotteschi, già sul mercato antiquario, per i quali è stata segnalata la provenienza da palazzo Grimani a Venezia (fig. 3).
Il secondo è un profilo di giovane, parte di una serie di dodici analoghi profili di vari personaggi, tutti murati nelle pareti della scala di Palazzo Nani Mocenigo a San Trovaso (fig. 4). In entrambi ritroviamo il lungo orecchio asinino che, occupando il centro della composizione, si impone allo sguardo5. Il profilo di Palazzo Nani, inoltre, ha la bocca semiaperta improntata a un mezzo sorriso colta in un’espressione analoga a quella del Satiro ligneo. Non meno suggestivo è il confronto con un altro profilo di Palazzo Nani che raffigura una seconda figura satiresca con simili zigomi rilevati.
Oltre ai singoli particolari è la temperie espressiva del Satiro, intensa e ironica allo stesso tempo, che indirizza verso l’arte di questo scultore. Disinteressato ai toni drammatici e sentimentali messi in campo da Giusto Le Court o da Michele Fabris detto l’Ongaro che pure furono i suoi maestri, Bonazza osserva i suoi personaggi con uno sguardo graffiante e irriverente ma al quale non manca mai una dose di partecipazione emotiva giocata su toni affettuosi e divertiti6. Si può ad esempio considerare come la barba intagliata a ciuffi isolati e asimmetrici del Satiro derivi da analoghe soluzioni dell’Ongaro e di come, allo stesso tempo, il tono drammatico dei personaggi scolpiti da quest’ultimo, del quale sono esempio i busti dei cosiddetti Bravi della Querini Stampalia, sia del tutto estraneo alla condizione psicologica indagata nella testa qui in esame.
Nel Bacco in collezione privata (fig. 5), una delle opere in cui è sensibile il fascino esercitato sul Bonazza dal genovese Filippo Parodi attivo in Veneto nell’ultimo quindicennio del secolo, è invece chiara l’inflessione che gli è più congeniale: osservazione realistica ai limiti del caricaturale, ma pur sempre mitigata da un accento sorridente7.
Il Bacco interessa in questo contesto anche per la forma del busto che è parente stretto di quello del Satiro: senza spalle, compatto e tagliato al petto. Inoltre, si può osservare come il manto dai lunghi ciuffi di peli caprini, attributo che Bacco e Satiro condividono in quanto entrambi parte del tiaso dionisiaco, è realizzato in tutte due le opere in modo molto simile, al netto dei diversi materiali impiegati. Il grande zoccolo caprino appoggiato alla spalla del Satiro ne completa gli attributi: anche in questo caso sembra di intercettare un aspetto confacente alla poetica di Bonazza che fa dell’osservazione attenta dei particolari secondari e per così dire ‘accessori’ delle sue opere un elemento essenziale alla ricchezza e alla vitalità della narrazione: gli esempi in questa direzione sono innumerevoli ma basterebbe pensare ai rilievi per cappella del Rosario ai Santi Giovanni e Paolo e alla straordinaria ricchezza inventiva degli attributi dei personaggi e degli oggetti inanimati che ne popolano le scene.
In conclusione, se le osservazioni fin qui condotte suggeriscono di riconoscere nell’ambito di Giovanni Bonazza l’autore della testa di Satiro, la sua natura di frammento rende difficile immaginare il luogo per il quale era stata creata. In ogni caso, il soggetto poteva adattarsi a diversi contesti date le molte e diverse implicazioni filosofiche della rappresentazione di satiri e sileni, simbolo di vizio e ignoranza ma anche del loro contrario come insegnava Platone nel Simposio. In quest’ultimo, infatti, Alcibiade paragonava Socrate a quel genere di statuette usate nell’antichità dette Sileni che esternamente raffiguravano sagome di sileni comici e grotteschi, ma che al loro interno contenevano immagini di beltà divine. Il paragone tra Socrate e Sileno sarebbe stato in seguito utilizzato per evocare tutto ciò che nasconde una verità profonda, non alla portata di tutti, sotto un aspetto risibile e grottesco. La suprema saggezza di Socrate si celava infatti dietro alle fattezze ridicole e deformi dell’uomo e, allo stesso tempo, dietro al suo linguaggio plebeo e alla continua ostentazione della propria ignoranza.
La testa di Satiro potrebbe aver trovato posto nella decorazione di biblioteche, mobilio o altri ambienti impreziositi da intagli allegorici. In Lombardia, ad esempio, nel Palazzo Borromeo all’Isola Bella, è sopravvissuta la decorazione di un salone dove, alla sommità dei pilastri che scandiscono le pareti, lo scultore pavese Siro Zanelli aveva scolpito in legno attorno al 1682 -1684 una serie di teste grottesche dalle lunghe orecchie asinine indicate col nome di “satiri” negli inventari coevi: stavano a rappresentare allegorie dell’ignoranza, ovverosia uomini allo stato di natura, contrapposti alle figure dei filosofi dell’antichità scolpiti nella stanza accanto8.
Susanna Zanuso
1 After the fundamental monograph by Camillo Semenzato (1957), the more recent studies on Antonio are represented by the the various essays included in Cavalli, Nante 2015.
2 The evidences of Giovanni Bonazza’s activity as a wood carver, the result of research by various scholars, is now collected in Guerriero 2013, pp. 203-217. Other wooden sculptures have been attributed to Giovanni Bonazza by Tulić 2015, pp. 141-162.
3 Andrea Bacchi, ‘Le cose più belle e principali nelle chiese di Venezia sono opere sue’: Giusto Le Court a Santa Maria della Salute (e altrove), “Nuovi studi”, 12 (2006), pp. 147-148
4 Dal Medioevo a Canova. Sculture dei Musei Civici di Padova dal Trecento all’Ottocento, exh. cat., ed. by Davide Banzato, Franca Pellegrini, Monica de Vincenti, Venezia 2000, pp. 160-166,169-192 (entries by Monica de Vincenti); Guerriero 2002a, pp. 95-97; Guerriero 2002b, pp. 83-86.
5 For the image of the Agnew series, then attributed to Orazio Marinali, see Zanuso 2000, p.756, fig. 481. For the profiles of Palazzo Nani Mocenigo see Guerriero 2002a, p.140, pl. 70.
6 Guerriero 2010, pp. 72-101.
7Arte e Vino, exh. cat. (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 11.04-16.08.2015), a cura Annalisa Scarpa e Nicola Spinosa, Milano 2015, pp. 287-288, n. 67 (entry by Simone Guerriero).
8 Susanna Zanuso, La ricchezza degli interni 2. Sculture e arredi, in Isola Bella 2020, pp. 64-79.
Simone Guerriero, Le alterne fortune dei marmi: busti, teste di carattere e altre “scolture moderne” nelle collezioni veneziane tra Sei e Settecento, in Pavanello 2002, pp. 73-149
Simone Guerriero, Giovanni Bonazza. Quattro profili, in Vicenza 2002, pp. 83-86
Simone Guerriero, La prima attività di Giovanni Bonazza, “Arte Veneta”, 67 (2010), pp. 72-101
Simone Guerriero, Il Crocifisso di Giovanni Bonazza nella chiesa di Santa Lucia, in Padova 2013, pp. 203-217