Maddalena penitente e un angelo
Giulio Cesare Procaccini
(Bologna 1574 – Milano 1625) Venduto
- Olio su tavola
- 102.5 × 67.3 cm (40.35 × 24,49 inches)
Riemerso nel 2021 e presentato qui per la prima volta, il dipinto è riconducibile senza alcuna difficoltà all’interno del catalogo di Giulio Cesare Procaccini, uno dei pittori di primo piano nella Lombardia d’inizio Seicento.
Il volto della Maddalena e il delicato dialogo con l’angelo alle sue spalle trovano un riscontro lampante nella Santa Cecilia della Pinacoteca di Brera, databile tra 1620 e il 1625 (fig. 1), dove risulta analoga anche la posa del collo della santa, leggermente reclinato a sinistra, mentre il messo celeste fa da contrappunto sul lato opposto1.
Una soluzione compositiva simile, ma in controparte, compare inoltre nella Maddalena penitente all’Ambrosiana, risalente circa al 1620 (fig. 2)2. Un ulteriore confronto per l’opera in esame è offerto dalla Maddalena della Pinacoteca di Brera a Milano (fig. 3), dipinta anch’essa alla fine del secondo decennio del Seicento, dove la santa è però raffigurata di profilo, mentre si volge verso l’angelo3.
Quest’ultima versione del soggetto, affrontato in più occasioni da Procaccini, come emerge dai confronti evocati, si avvicina alla nostra per la vivacità della stesura pittorica. Affine risulta il modo di costruire i panneggi, dei quali possiamo quasi avvertire la consistenza frusciante, delineati con grande rapidità e pervasi da sottili bagliori di luce, così come i capelli vaporosi della penitente e dell’angelo, color castano, che vibrano di riflessi dorati.
Il tono cromatico generale del dipinto, giocato prevalentemente su tinte ocra e i tratti dei volti, dai profili quasi incisi, inducono ad avvicinare la Maddalena penitente ad anni poco successivi al Costantino riceve le reliquie della Passione al Castello Sforzesco di Milano, del 16204. Il dipinto apre la fase tarda della carriera del pittore, caratterizzata dall’utilizzo di una tavolozza più cupa e da una maggiore attenzione rivolta al disegno. Un ulteriore riscontro in questa direzione è dato dalla figura dell’angelo, che ricorre molto simile in una Pietà di ubicazione ignota, connotata dai medesimi toni bruni, anch’essa databile agli ultimi anni di attività del maestro5.
Oltre ai confronti evidenziati, l’aspetto che più sorprende nell’opera in esame è la straordinaria libertà esecutiva esibita da Procaccini in alcuni dettagli, come la magnifica manica gialla in primo piano, tratteggiata con pennellate veloci e sicure, che richiama le “bozze” e le “macchie” grazie alle quali il pittore aveva acquistato una notevole fama già in vita. Si tratta di opere dall’aspetto volutamente non finito, come la Madonna con il Bambino e un angelo al Museo di Capodimonte a Napoli o la Sepoltura di Gesù in collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso, definite “abbozzi autonomi” secondo la felice definizione coniata da Roberto Longhi6. La peculiarità di queste prove, contraddistinte da una prodigiosa rapidità di esecuzione, consiste nel fatto che non fossero intese da Procaccini come preparatorie in vista di un dipinto di maggiori dimensioni, ma che fossero considerate come opere d’arte per se stesse.
Questo modo di dipingere era molto apprezzato dai committenti dell’artista, in particolare dal patrizio genovese Giovan Carlo Doria. Ne rende conto per primo Girolamo Borsieri nel Supplimento della nobiltà di Milano del 1619, riferendo che Giulio Cesare si era “formata una maniera che molto si accosta alla maniera del Parmeggianino, particolarmente nel macchiare” 7. Oltre a riconoscere questo tratto caratteristico dello stile del pittore, l’erudito comasco indicava che Procaccini, per questo tipo di creazioni, si muoveva nel solco di un genere già sperimentato da Parmigianino, che Giulio Cesare avrebbe vivificato e reso maggiormente spettacolare grazie alla conoscenza delle prove lasciate a Genova da Rubens.
La pratica degli “abbozzi” è portata avanti da Giulio Cesare lungo tutto l’arco della sua attività ed è attestata anche in opere tarde, tra le quali spiccano i notevoli Misteri del Rosario che attorniano la Madonna con il Bambino e i santi Domenico e Caterina nella chiesa di San Pietro al Rosario di Novara, una grande pala d’altare consegnata dall’artista poco prima della morte, nel 16258. La rapidità della stesura e la presenza di alcune parti “abbozzate” nella Maddalena penitente non vanno però considerate, in questo caso, solo come un elegante esercizio di stile di Procaccini: il dipinto in esame rivela in realtà le caratteristiche di una preziosa prova non finita, come è stavo possibile chiarire anche grazie al restauro condotto con sensibilità dallo Studio Colombi di Milano nel 2021.
Segni evidenti che l’opera non sia stata portata a termine sono i tratti color marrone, ancora a vista, tracciati per delineare rapidamente lo sfondo e la parte finale delle chiome della Maddalena, che si perdono nell’imprimitura bruna, così come il seno nudo, non ancora definito. Di forte impatto visivo sono le striature scure sul collo della santa e sul volto dell’angelo, che consentono di cogliere quasi il gesto del dipingere nel suo compiersi. Pennellate finissime e sovrapposte, non ancora uniformate per ottenere l’incarnato, tracciano le guance rosate, le labbra della Maddalena e la mano portata al petto, accentuando la vivacità e l’energia dell’insieme.
Alle parti più abbozzate, in questo caso nel senso letterale del termine, che permettono di apprezzare da vicino lo straordinario modus operandi di Procaccini, se ne alternano altre dove il grado di finitezza è maggiore, ad esempio il vasetto d’olio profumato in primo piano. L’elegante attributo della santa richiama il gusto del pittore per le oreficerie raffinate, rese con striature lucenti, come accade nell’oggetto analogo raffigurato nella Maddalena di Brera e nella rotella da torneo che il maestro regge tra le mani nell’Autoritratto del Museo Lechi a Montichiari9.
Sul fronte delle attestazioni documentarie, il soggetto del dipinto ricorre in più occasioni tra le prove perdute assegnate a Procaccini, oltre ad essere stato affrontato in opere già note, alcune delle quali richiamate in precedenza. Sebbene non sia possibile rintracciare con certezza la Maddalena in esame tra le prove menzionate negli inventari antichi, è utile ricordare quelle che potrebbero essere ad essa connesse. Una ‘Madalena mezza figura dal naturale’ del pittore è censita nella lista dei dipinti condotti a Modena da Milano nel 1635 dall’abate Roberto Fontana, ambasciatore e agente d’arte di Francesco I d’Este10. Un’altra “Santa Maria Maddalena, di Procaccino” stimata ‘lire 100’ compare nel 1678 nella collezione di Giovan Luca Doria a Genova, mentre una ‘Maddalena Penitente’ è attestata, prima del 1763, nella raccolta del marchese Michelangelo Peralta a Milano11.
1 Hugh Brigstocke, Odette d’Albo, Giulio Cesare Procaccini. Life and work, with a catalogue of his paintings, Torino 2020, p. 367, no. 125. 2. ivi, pp. 361-362, no. 116.
3 ivi, p. 371, no.133.
4 ivi, p. 372, no 134.
5 ivi, pp. 393-394, no. 183.
6 ivi, p. 332, no. 65; ivi, pp. 334-335, no. 69; Roberto Longhi, L’inizio dell’abbozzo autonomo, “Paragone. Arte”, XVII, 196 (1966), pp. 25-29
7 Girolamo Borsieri, Il supplemento alla nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 64.
8 Brigstocke, D’Albo 2020, p. 401, no. 197.
9 ivi, p. 351, no. 97.
10 ivi 2020, p. 459.
11 ivi, pp. 438, 456.