Al verso, a penna e inchiostro bruno: ‘s’ (in alto); ‘del Sig. Gio. Giosef.° del Sole’. Una seconda scritta a penna e inchiostro bruno, non leggibile, traspare dal verso lungo l’angolo inferiore destro.
Il 27 settembre 1672, durante una visita alla tenuta del conte bolognese Alessandro Fava, il diciottenne Giovan Gioseffo dal Sole esegue un disegno raffigurante uno dei contadini che lavoravano sulle terre del nobile (fig. 1)1.
Il ritratto, a
pietra rossa e accuratamente rifinito, risulta somigliantissimo, come annotato con soddisfazione
dallo stesso conte in una scritta apposta in calce
all’opera. Questa preziosa indicazione ha permesso, negli anni, di riconoscere alla mano di
Giovanni Gioseffo una serie di schizzi a pietra
rossa di mendicanti e contadini che costituiscono
un affascinante quanto raro contrappunto alla sua
più nota opera di pittore sacro.
Oltre al Contadino, oggi a New York, si ricordano il Vecchio con
stampelle del Castello Sforzesco di Milano e un vivace Pastore con zampogna che esce da un ruscello di
Praga, che condivide con il nostro disegno i medesimi attributi (il bastone il cappello)2.
Queste
opere rivelano in Giovanni Gioseffo una vena ironica e un gusto per la rappresentazione di scene
campestri, probabilmente influenzata dall’opera
del padre Giovanni Antonio Maria (1606-1684),
pittore di paesaggi3.
Il nostro Mendicante seduto, che reca sul
verso un’iscrizione coeva con il nome dell’artista,
costituisce un’importante aggiunta al piccolo corpus4. Rispetto ai fogli citati, particolare cura viene
posta nella rappresentazione dei lineamenti e
dell’espressione. Lo specifico taglio dell’immagine
sulla sinistra farebbe pensare a una possibile destinazione pittorica o incisoria non altrimenti nota.
La rappresentazione dei mendicanti e del
piccolo popolo costituisce un filone minore ma
ben attestato nell’arte bolognese del Seicento. Si
ricorda, ad esempio, la serie delle Arti per via, incise nel 1660 da Giuseppe Maria Mitelli e basate su
un gruppo di disegni caricaturali di Annibale Carracci.
Nel caso del nostro disegno, la scelta dell’argomento e la resa espressiva ricordano i fortunatissimi modelli incisori di Jacques Callot (c. 1592
– 1635) e, in particolare, la serie dei Baroni. L’immediatezza dell’immagine, tuttavia, depone a favore di una scena vista dal vero, prontamente fermata in quella che resta una delle più vivaci rappresentazioni lasciateci dall’artista.
Note
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1 Il testo di riferimento su Gioseffo è la monografia di
Thiem 1990, che ha condensato una serie di importanti contributi precedenti principalmente relativi alla produzione
pittorica (Lippi Bruni 1959, pp. 109-114; Colombi Ferretti
1979, pp. 127-134; Roli 1981, pp. 13-23; Lippi Bruni Ta-
roni 1987, pp. 59-61) e per cui cfr. anche la recensione di
Scrase 1992, pp. 257-258. Sui disegni si vedano almeno
Dreyer 1997, pp. 165-166 e Lippi Bruni Taroni 2004, pp.
60-62, mentre tra i contributi più recenti si ricordano Thiem
2003, pp. 33-42; Gasparotto 2005, pp. 165-175; Dari 2015,
pp. 57-78.
2 Thiem 1990, pp. 196-197, cat. D20, D21,
D22.
3 Thiem 1990, p. 26 e p. 26 nota 18 cita un ulteriore
studio di un Mendicante zoppo seduto in poltrona, a pietra rossa,
ripr. in Bologna 1979, n. e fig. 2.
4 Simili iscrizioni sono
assai frequenti nei fogli di Giovanni Gioseffo; alcune di esse
sono identificabili come di mano del conte Fava, che doveva
possederne diversi (Thiem 1990, p. 23 ne identifica 7).