Venere scherza con due colombe
Pelagio Palagi
(Bologna 1775 – Torino 1860) Venduto
- c. 1830
- Olio su tavola
- 25.5 × 20 cm (10 × 7.87 inches)
La piccola tavola è certamente un’opera autografa del pittore bolognese Pelagio Palagi, uno dei più importanti artisti italiani tra neoclassicismo e romanticismo. Dipinta con squisita raffinatezza e ottimamente conservata, si iscrive in un momento preciso della cultura figurativa milanese e della prestigiosa carriera di Palagi, che qui conviene brevemente ripercorrere.
Palagi fu inviato a Roma come pensionato dell’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1806. Era protetto da un uomo molto potente come il conte Carlo Ulisse Aldrovandi, presidente perpetuo dell’istituzione bolognese dal 1807. Il suo mentore vedeva in lui l’artefice di un rinnovamento moderato, rispettoso del tradizionale carraccismo della scuola bolognese.
Una volta a Roma, tradendo in parte tali aspettative, il giovane Palagi si fece invece interprete di tendenze neoclassiche più radicali, aggiornate sul primitivismo d’oltralpe (in dialogo con Ingres), sulle poetiche del sublime e sulla cultura figurativa nazarena. Insieme ad Hayez (che a Roma giunse nel 1809), fu proprio Palagi a tracciare i nuovi confini della cultura figurativa che da Roma si sarebbe poi diffusa in tutta in Italia.
Destinato a una fulgida carriera come pittore di storia, che lo avrebbe visto coinvolto nei più prestigiosi cantieri pittorici romani di quegli anni, dalla decorazione napoleonica del palazzo del Quirinale del 1811- 1813 agli affreschi per la Galleria di Teseo nel distrutto palazzo Torlonia in piazza Venezia del 1813-1814, Palagi esplorò in quel momento, tra la fine del primo e gli inizi del secondo decennio dell’Ottocento, figure eroiche e monumentali, di impianto severo. E lo fece anche con leggero anticipo rispetto ad Hayez, avendo egli conosciuto ben prima del pittore veneziano le istanze neoclassiche d’avanguardia diffuse da Felice Giani tra Roma e Bologna agli inizi del secolo.
Maturando, Palagi coniugò questo linguaggio radicale e moderno con un moderatismo di marca classicista che guardava a Raffaello ma soprattutto ai grandi protagonisti della tradizione bolognese come Domenichino e Guido Reni. Il primo importante risultato dello stile originale e maturo di Palagi lo si coglie nelle pitture murali della Galleria di Teseo di palazzo Torlonia. I soggetti delle Storie di Teseo furono affrontati da Palagi con un empito di grazia che avvicina quelle opere al registro ‘tenue’ delle sculture di Canova.
Trasferitosi a Milano nel 1815 (dove rimase fino al 1832), Palagi si fece interprete proprio di questo neoclassicismo aggraziato ma autorevole, impeccabile e perfetto sul piano formale e dell’esecuzione, mentre su un altro versante si faceva largo sempre sulla ribalta milanese il gusto romantico imposto da un altro gigante come Francesco Hayez.
Di questa particolare natura del neoclassicismo di Palagi la tavoletta qui in esame è un esempio squisito, elegante e ineccepibile, in cui il tema classico di Venere che scherza con le colombe è declinato in un naturalismo immerso nella quiete e nella compostezza che è tipico dei modi del Palagi milanese. Anche quando, seguendo la strada tracciata da Hayez, affrontò temi esplicitamente romantici, come il Carlo VIII che visita Gian Galeazzo Sforza nel castello di Pavia, Palagi lo fece con un codice figurativo che non poteva rinnegare i principi del suo classicismo di stampo accademico.
Questa tavoletta fu dipinta con ogni probabilità nel 1830. Quello stesso anno Hayez, amico di vecchia data di Palagi, espose a Brera uno delle opere più̀ seducenti di tutto l’Ottocento italiano: il ritratto divinizzato della ballerina Carlotta Chabert come Venere che gli era stato commissionato dal suo amante, il conte trentino Girolamo Malfatti (fig. 1).
Il dipinto di Hayez metteva in scena la Venere/Chabert mentre scherza con due colombe. L’opera, che a noi oggi appare un capolavoro di prospettiva europea, fu molto criticata perché più che rispondere ai canoni del bello ideale di ispirazione neoclassica, sembrava in realtà ritrarre, nella sua impudente sensualità, una ‘delle più schifose donne del volgo’, come ebbe a scrivere la critica di allora. Infatti Carlotta, divinizzata nelle fattezze di Venere, era tanto e scabrosamente ricca di erotismo da suscitare una miriade di polemiche all’esposizione di Brera. Ne parlarono i giornali e la critica perché Hayez, con provocante dissacrazione, si era preso gioco dei canoni estetici classici della bellezza trasformando le fattezze idealizzate di una divinità derivate dalla scultura antica in quelle sensuali, vere e trasgressive di una donna disinvolta del mondo dello spettacolo.
Quindi, fu probabilmente subito dopo aver visto il dipinto dell’amico e rivale Hayez che Palagi volle cimentarsi come per gioco, nelle ridotte dimensioni di questa tavoletta, con lo stesso tema di Venere che scherza con due colombe, restituendo però della divinità fattezze più sobrie e in qualche modo castigate e riconducendo la figura nel perimetro dell’ortodossia classicista.
Anche Palagi, che intanto nel 1832 fu nominato pittore di corte di re Carlo Alberto di Savoia a Torino, fu incaricato da Girolamo Malfatti qualche anno più avanti di ritrarre in chiave divinizzata la Chabert (fig. 2). Il dipinto di Palagi, di grande fascino, fu ultimato nel 1835. Eternava Carlotta nei panni di una Diana più misurata e composta, immersa in una vegetazione bucolica che esemplificava la raffinata sintassi figurativa di Palagi, in cui le nuove suggestioni naturalistiche di matrice romantica si sommavano all’utilizzo di schemi ancora rigorosamente classicisti. In effetti la posa della Chabert come Diana ricorda molto da vicino la Venere qui in esame: nella giacitura del corpo sedente ma soprattutto nell’impostazione delle spalle e nella mossa del collo e del viso rivolti alla destra di chi guarda.
Dunque di questa tavoletta Palagi si ricordò al momento di eseguire il ritratto divinizzato di Carlotta come Diana. Alla figura di Venere infine, qualche anno prima rispetto all’opera qui allo studio, Palagi aveva già dedicato un dipinto, una Venere educatrice di Amore oggi conservato al Museo d’Arte Moderna di Bologna. Anche in questo caso una tavola, ma di maggiori dimensioni, in cui Venere è inserita in un contesto paesistico idilliaco che ricorda l’ambientazione dell’opera qui presentata. Della Venere educatrice di Amore è nota anche una seconda versione di piccole dimensioni dipinta sempre su tavola.
Francesco Leone